PROFILO

Perseverare necesse est

Perseverare non era esattamente un verbo di moda prima della pandemia e dell’invio della sonda su Marte.

Persistere, nonostante le difficoltà o i ritardi per raggiungere un obiettivo, non era nelle corde di tutti. D’altra parte, lo stesso vocabolario della lingua italiana prevede la parola successo prima della parola sudore e dunque perché fare fatica?

Un tempo non lontano tutto sembrava raggiungibile, tutto sembrava in costante miglioramento, tutto sembrava facile e le scorciatoie erano preferite alla via maestra. Poi è arrivata la pandemia, mentre il Paese cercava di risollevarsi dalla crisi finanziaria ed è risultato evidente che i progressi economici e collettivi non erano così semplici da raggiungere; che le scorciatoie avevano aumentato le diseguaglianze sociali; che i diritti che sembravano acquisiti non erano affatto scontati.

Da lì il necessario ricorso alla perseveranza, al sacrificio della socialità, della libertà di movimento, del diritto al lavoro; perseverare per ritrovare soluzioni eque e solidali alla crisi generale.

Oggi il verbo perseverare sembra essere tornato di moda, come lo fu dal ’45 al ’60 del secolo scorso, quando perseveranza, solidarietà e voglia di fare consentirono all’Italia di passare da Paese povero e arretrato a quinta potenza industriale del mondo. Forse quello sforzo è irripetibile, come lo sono i risultati raggiunti allora. Sappiamo però che la perseveranza fa miracoli, come dimostra la sonda arrivata su Marte!

Il diritto e l’ottimismo
ovvero il diritto all’ottimismo

Le regole della vita associata sono di diversa natura, ma tutte (o quasi) trovano la loro base nel diritto.
E il diritto cerca di dare regole al futuro, sulla  base delle esperienze passate.

Spesso il diritto non riesce a regolare la complessità della vita umana, lo sviluppo della tecnologia, dell’economia e della finanza, rendendo necessaria l’interpretazione delle norme e il loro superamento. Ma sicuramente il diritto guarda al futuro, vuole regolamentare quello che avverrà.

Per questo si può dire che il diritto si basi sull’ottimismo.
Ottimismo che continui la forma politica-economica della società che si vuole regolare.

Ottimismo che le regole siano efficienti.
Ottimismo che le regole siano rispettate.

Anche il lavoro dell’avvocato peraltro si basa, in parte almeno, sull’ottimismo.
Ottimismo per la propria capacità di tradurre le norme e la loro applicazione al semplice cittadino, all’imprenditore, al giudice, all’artigiano, all’insegnante che le devono osservare e al giudice che le deve applicare.

Ottimismo per la propria capacità di convincere ad evitare dispendiosi e lunghi conflitti, trovando la soluzione che realizzi l’interesse del proprio assistito.

Ottimismo per la propria capacità di  convincere il giudice (quando il conflitto è necessario o inevitabile)  delle ragioni del proprio assistito.

Ottimismo sulla capacità degli italiani e di tutti i cittadini del mondo di proteggersi e proteggere gli altri, continuando a vivere, a lavorare, a studiare (quasi) come se nulla fosse cambiato.

Abbiamo tutti diritto di essere ottimisti.
Abbiamo tutti il dovere di essere ragionevolmente e costantemente ottimisti.

Foto dello Studio di Lamberto Lambertini

Come eravamo
(e come speriamo di essere ancora)

L’amore per i libri e per la bicicletta non è indispensabile per fare l’avvocato, però aiuta.
I libri, e in particolare quelli di letteratura, di storia e di filosofia, offrono un’enorme quantità di idee e di esperienze, che contribuiscono ad affrontare con intelligenza le situazioni conflittuali umane, economiche e sociali che la professione presenta.
La biciclette ci sottrae alle pressioni della vita quotidiana, dei clienti e delle scadenze e ci sorprende spesso a pensare ad una soluzione per risolvere qualche questione complessa.
Pedalare dunque è pensare in piena libertà, così come leggere è vivere centinaia o migliaia di vite diverse.
Pedalare e leggere richiedono una preparazione diligente, la stessa che serve all’avvocato per raggiungere l’eccellenza, meritare la fiducia del cliente che a lui si è affidato, ottenere il rispetto dei giudici e degli avversari.
Dunque l’applicazione costante della diligenza consente all’avvocato di dare il meglio di sé stesso, preservando la propria autonomia ed indipendenza, sottraendosi alle suggestioni dell’opportunismo e del conformismo.
Cercando di dare il meglio di sé stesso, l’avvocato impegna esperienza, senso critico ed autocritico, conoscenza delle tecniche giuridiche, psicologiche, relazionali, linguistiche.
Dando il meglio di sé, l’avvocato dimostra che il suo può essere il mestiere più bello del mondo, così come quello dell’artigiano che, applicando conoscenze e diligenza, produce una forma d’arte.

“Ci afferri l’anima una santa ambizione
di non contentarci delle cose mediocri,
ma di ambire alle più alte e sforzarci
con ogni vigore di raggiungerle dal momento
che, volendo, è possibile”

Pico della Mirandola