La gestione del conflitto societario insegna che la mancanza di coesione, tra amministratori e soci, o anche solo tra soci, costituisce un grave pericolo per la continuità aziendale.

Un pericolo talmente serio da provocare conseguenze rilevanti, anche quando si tratti di affrontare questioni assai banali, come pagare gli stipendi dei dipendenti, accedere alla contabilità aziendale, organizzare i singoli reparti aziendali e così via dicendo.

Di tale esperienza non sembra esserne dotato il nostro legislatore, il quale, nel lodevole intento di reprimere le condotte corruttive poste in essere da imprenditori spregiudicati, ha introdotto una misura apparentemente semplice, ma che, tuttavia, nasconde delle insidie, non solo interpretative, ma soprattutto pratiche, che sembrano contraddire gli scopi per i quali nascono tali misure, quali:  la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali; la salvaguardia dei livelli occupazionali; l’integrità dei bilanci pubblici.

Stiamo parlando dell’art. 32, comma 1, lett. b), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, il quale prevede che, il Prefetto su proposta dell’ANAC provveda: “[…] alla nomina di uno o piu’ amministratori, in numero comunque non superiore a tre, in possesso dei requisiti di professionalita’ e onorabilita’ di cui al regolamento adottato ai sensi dell’articolo 39, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270. […] Per la durata della straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, sono attribuiti agli amministratori tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell’impresa ed e’ sospeso l’esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell’impresa. Nel caso di impresa costituita in forma societaria, i poteri dell’assemblea sono sospesi. per l’intera durata della misura. […] L’attivita’ di temporanea e straordinaria gestione dell’impresa e’ considerata di pubblica utilita’ ad ogni effetto e gli amministratori rispondono delle eventuali diseconomie dei risultati solo nei casi di dolo o colpa grave.

E’ utile ricordare come l’esigenza di introdurre questi strumenti di controllo pubblico della gestione delle imprese si è posta a seguito di rilevanti iniziative di indagine concernenti gli episodi corruttivi che avevano inquinato l’affidamento e la realizzazione di opere pubbliche di importanza strategica per il Paese, con pesanti ricadute anche sul piano della sua immagine a livello internazionale.

In questo contesto, è emersa la necessità di arricchire il sistema di prevenzione dei fenomeni di maladministration, previsti dalla legge n. 190/2012, con strumenti di immediata applicazione e operatività, capaci di preservare l’interesse sotteso alla realizzazione dell’appalto affidato, in un regime di legalità controllata.

Tali esigenze trovano puntuale riscontro nella lettera dell’art.32 del D.L. n. 90/2014, poc’anzi citata.

La disposizione, infatti, finalizza le misure di straordinaria gestione dell’impresa, disposte a fini anticorruzione, esclusivamente alla completa esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto pubblico, in relazione al quale sono emerse le fattispecie di reato o gli altri comportamenti illeciti (comma I, lett. a) e bj).

Le misure straordinarie di gestione sono, dunque, adottate in esercizio di un potere conformativo e limitativo della libertà di iniziativa economica, nell ‘intento di salvaguardare interessi pubblici di rango superiore.

La straordinaria e temporanea gestione dà vita ad un governo separato di quella parte dell’azienda che dovrà eseguire l’appalto pubblico, secondo un modello di governance sui generis.

Come è stato osservato nelle Linee Guida dell’ANAC del 15 luglio 20 14, qualora l’impresa interessata dalla misura sia una società per azioni, potrà essere applicato il modello di cui all’art. 2447-bis c.c..

Tale disposizione consente di costituire un patrimonio destinato all’esecuzione della commessa pubblica, per la cui gestione gli amministratori nominati dal Prefetto dovranno tenere una contabilità separata nelle forme stabilite dall’art. 2447-sexies c.c.

In applicazione di tale disciplina, i provvedimenti prefettizi interdittivi a noi noti prevedono espressamente che:

(i) “gli amministratori sostituiranno i titolari degli organi dotati di omologhi poteri soltanto per ciò che concerne la gestione delle attività d’impresa connesse all’esecuzione dell’appalto da cui trae origine la misura

(ii) “ferma restando la responsabilità per ciascun appalto affidato, gli amministratori avranno l’obbligo di coordinarsi tra loro per la miglior esecuzione dei contratti, tenuto conto che gli stessi fanno capo ad una medesima impresa e rientrano nello stesso ambito di attività”.

All’interno della società si genera dunque una divisione drastica e apparentemente marcata, tra ciò che appartiene alla competenza dell’amministratore straordinario e ciò che appartiene alla competenza dell’amministratore ordinario.

Una competenza così drastica che l’amministratore straordinario non ha timore di rivendicare, come se si trattasse di una giurisdizione di carattere originario e non derivato.

Tale impostazione si traduce in un atteggiamento autoritario, repressivo e diffidente.

Ed infatti, anche di fronte alle osservazioni più costruttive, se esse sono formulate dagli amministratori ordinari, l’amministratore straordinario si sente legittimato – e per certi versi in dovere – di rifiutare o, addirittura, di ignorare.

È chiaro che, all’interno di una società, non può mai realizzarsi una dicotomia totale tra due o più affari, facenti capo alla medesima impresa.

Ciò non solo o non tanto per la sussistenza di una comunione di uomini, mezzi e strumenti necessari per l’esecuzione dei singoli affari, quanto per l’unitarietà dell’impresa, dal punto di vista dell’immagine commerciale, della responsabilità indivisibile del patrimonio sociale per le obbligazioni assunte, della gestione finanziaria, della struttura organizzativa complessivamente considerata e così via dicendo.

Pensare che un soggetto estraneo alla gestione societaria e spesso privo di esperienza nel settore di riferimento, possa assumere decisione autonome e avulse dalla direzione strategica dell’impresa, è una pura utopia.

Lo è perché anche le scelte più banali sono il frutto di un’organizzazione generale e di una razionalizzazione strategica, che non può non essere condivisa da tutte le figure apicali dell’azienda.

Non attuare tale basilare principio gestorio significa porre le basi per la dissoluzione dell’impresa.

È dunque necessario interpretare le disposizioni legislative e i provvedimenti prefettizi attuativi delle stesse, coerentemente alla logica elementare di funzionamento di una qualsiasi realtà societaria, e in ossequio dei principi di corretta, diligente ed avveduta gestione dell’impresa.

Cosa comporta ciò?

Ebbene, poiché la competenza e i poteri affidati agli Amministratori Straordinari sono “limitati” alla completa esecuzione degli appalti commissariati e poiché i singoli appalti (come ricorda il l’ordinanza prefettizia) si inseriscono nell’ambito dell’attività di una medesima impresa, ovvero dello stesso soggetto economico e giuridico, si rende necessario coordinare i punti di contatto tra le reciproche competenze (Amministratori Straordinari, da un lato, e management, dall’altro), onde consentire che l’attività aziendale possa svolgersi senza contraccolpi, sia di natura finanziaria che gestionale.

Come esplicitano anche i provvedimenti prefettizi che, sino ad oggi, hanno fatto applicazione dell’art. 32 D.L. 90/2014, la gestione dei singoli appalti deve essere “coordinata” con l’attività aziendale complessivamente considerata.

L’appalto oggetto di commissariamento s’inserisce, infatti, in un’impresa unitaria, ovvero fa capo al medesimo soggetto economico-giuridico e risponde ai profili di economicità ed efficienza industriale, che trascendono la dimensione atomistica del singolo affare.

Ciò significa che la gestione dei “profili di contatto”, tra tutto ciò che riguarda il singolo appalto e la struttura aziendale complessivamente considerata, dovranno essere, necessariamente, affrontati e condivisi con il management della società, laddove fuoriescano dai “limiti” della competenza affidata agli Amministratori Straordinari.

In tali ambiti non c’è spazio per l’esercizio di un potere autoritario, ma solo per una cooperazione leale e professionale.

Non adottare tale misure, significherebbe esporre l’intera azienda al rischio, concreto ed inevitabile, di trovarsi in una situazione di blocco finanziario e amministrativo, con effetti anche sulle performance del singolo appalto, nonché sull’efficace ed efficiente gestione delle risorse aziendali.

In tal modo, la misura interdittiva, nata per garantire la realizzazione di interessi pubblici di primaria rilevanza, si tradurrebbe, non solo in uno strumento di lesione della libera iniziativa economica, ma in una misura a detrimento del diritto al lavoro che mira, invece, a tutelare.

Forse per affermare questi principi dovremo ricorrere all’autorità giudiziaria, perché l’autorità amministrativa sembra poco sensibile al problema.

Staremo a vedere.

Lamberto Lambertini                                                        Davide Pachera

Esperto di diritto societario e arbitrale.